Observability, resilience e sovranità digitale: da dove partire per rafforzare la cloud governance
Quando l’infrastruttura cloud subisce un’interruzione, il danno è immediato. Per un e-commerce questo significa vendite perse e clienti che si rivolgono ai competitor, per una banca transazioni bloccate e clienti che non riescono ad accedere ai propri conti, per un ospedale l’arresto dei sistemi gestionali e operativi che supportano le attività cliniche. Ogni minuto di down non è soltanto un disservizio tecnico, ma una possibile perdita economica, un danno reputazionale difficile da quantificare, una severa compromissione di servizi critici.
La mitigazione di questi rischi passa da una governance del cloud chiara, consapevole e ben strutturata. Una sfida che non riguarda solo la tecnologia in sé, ma, più ad alto livello, la capacità di un’organizzazione di definire e applicare policy, strategie e strumenti per progettare fin da subito infrastrutture affidabili, scalabili, economicamente sostenibili e resilienti di fronte agli imprevisti.
Cloud observability per prevenzione e controllo
Il primo elemento alla base di una governance realmente efficace è il concetto di cloud observability, un approccio che supera il tradizionale monitoraggio fondato su metriche e log e che mira a comprendere in modo più ampio e articolato il comportamento del sistema nel suo complesso. L’osservabilità, dunque, non si limita a raccogliere dati, ma consente di interpretarli in chiave strategica, favorendo una gestione più consapevole e proattiva delle risorse digitali.
Attraverso l’observability, le aziende hanno la possibilità di ottenere una visione integrata che consente di:
- Prevenire gli incidenti prima che si trasformino in criticità operative, intervenendo tempestivamente sui segnali di rischio
- Ottimizzare i costi grazie a una gestione FinOps , capace di correlare prestazioni e spesa
- Individuare colli di bottiglia e priorità d’investimento, migliorando l’efficienza complessiva dell’infrastruttura.
Resilience: strutturare il sistema a favore della continuità operativa
Se l’observability può essere considerata il sistema di allerta che rileva anomalie e segnali di malfunzionamento, la resilience rappresenta la capacità del sistema di continuare a operare nonostante la presenza di guasti o interruzioni. Nell’ecosistema cloud dati e servizi non risiedono in un unico ambiente centralizzato, ma sono distribuiti su più regioni geografiche (ad esempio l’Europa) e, all’interno di ciascuna regione, su diverse zone di disponibilità, ognuna costituita da più data center indipendenti ma interconnessi.
Questa architettura distribuita consente di garantire la continuità operativa anche in presenza di malfunzionamenti localizzati: se un singolo data center subisce un guasto, gli altri presenti nella stessa zona continuano a funzionare senza interruzioni, poiché condividono dati e risorse in tempo reale. Tuttavia, i rischi più critici non provengono dal malfunzionamento di una singola struttura, bensì da eventi più estesi, come un blackout energetico o un incidente infrastrutturale, che possono compromettere l’intera zona di disponibilità. Per mitigare questo rischio, la regola fondamentale è evitare di concentrare i servizi critici in un’unica zona. È dunque consigliabile replicare le applicazioni e i database su due o più zone distinte, configurando meccanismi di failover automatico in grado di deviare il traffico e mantenere l’operatività anche in caso di interruzioni gravi. In questo modo, se una zona dovesse risultare inaccessibile, l’altra subentrerebbe immediatamente, garantendo la continuità del servizio senza che l’utente finale ne percepisca gli effetti.
Sovranità digitale: la dimensione strategica spesso trascurata
Oltre agli aspetti tecnici che abbiamo fin qui riportato, entra poi in gioco una dimensione ad oggi sempre più rilevante: la sovranità digitale. Le aziende europee, in particolare, stanno diventando consapevoli dell’importanza di sapere dove risiedono i propri dati, sotto quale giurisdizione e con quali garanzie di controllo e autonomia. In quest’ottica, la scelta del provider cloud non dovrebbe più essere solo una questione di performance o costo, ma una decisione strategica che guarda anche alla capacità di mantenere l’indipendenza tecnologica e di resistere a pressioni geopolitiche esterne.
Il vendor lock-in: un aspetto da valutare nella scelta cloud
Uno degli aspetti più rilevanti da valutare nell’adozione del cloud è il vendor lock-in, ovvero il grado di integrazione con un determinato provider. Questo fenomeno si verifica quando un’organizzazione costruisce la propria infrastruttura sfruttando servizi proprietari, come quelli di AWS, Microsoft Azure e Google Cloud che si basano su logiche e specifiche strettamente legate alla piattaforma.
Una scelta di questo tipo offre indubbi vantaggi: l’accesso a strumenti avanzati e altamente performanti, un’elevata integrazione nativa tra i servizi e una notevole rapidità nell’implementazione delle soluzioni. Nel tempo, qualora emerga l’esigenza di valutare un cambio di piattaforma, sarà necessario considerare alcuni interventi: adeguamenti al codice, migrazione dei dati, cicli di test e validazione.
Risulta quindi fondamentale essere consapevoli del livello di integrazione prescelto fin dalle fasi iniziali: soluzioni basate su standard aperti favoriscono una maggiore portabilità nel tempo, mentre l’adozione di piattaforme proprietarie garantisce ottimizzazione e integrazione immediata. La scelta ottimale dipende dalle priorità strategiche dell’organizzazione e dalla visione di lungo periodo.
Il controllo dei dati va oltre i confini nazionali
Il secondo elemento di rischio è di natura giuridica e geopolitica. Anche quando i dati vengono archiviati fisicamente in data center europei di provider americani, le leggi statunitensi, come il Cloud Act, consentono alle autorità di accedervi, indipendentemente dalla loro ubicazione. Emerge così una frattura tra la residenza geografica dei dati e la sovranità legale che li disciplina, un aspetto tanto più critico quando in gioco vi sono informazioni provenienti da settori sensibili come la finanza, la sanità o la pubblica amministrazione.
La strada verso una consapevolezza strategica
Negli ultimi anni, le aziende europee hanno sviluppato una consapevolezza più profonda e matura nei confronti dei rischi legati alla gestione e alla localizzazione dei dati. Il dibattito normativo, dal GDPR al più recente Data Act, insieme a una crescente attenzione verso i temi geopolitici e di sovranità digitale, ha reso il cloud non più una semplice infrastruttura tecnologica, ma un elemento centrale delle strategie aziendali di lungo periodo.
In questo contesto AWS, Microsoft, Google Cloud e la piattaforma GCP continuano certamente a rappresentare i player più solidi sul mercato, offrendo livelli di affidabilità, sicurezza e performance difficilmente eguagliabili, ma la loro adozione deve necessariamente essere accompagnata da una pianificazione rigorosa e da una governance consapevole.
Ogni organizzazione dovrebbe quindi chiedersi:
- Qual è il grado di vendor lock-in che siamo disposti ad accettare senza compromettere la flessibilità futura?
- Quale livello di integrazione con il provider risponde meglio alle nostre esigenze strategiche?
- Quale equilibrio sostenibile possiamo mantenere tra efficienza operativa, innovazione e sovranità aziendale nel lungo periodo?
Sta alla singola organizzazione trovare una propria risposta, consapevole dei compromessi da accettare e delle possibili vulnerabilità che ogni scelta implica. La sfida non è trovare l’equilibrio perfetto, ma avere la capacità di riconoscere quando è compromesso e agire di conseguenza.
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